«IL FEDERICIANO»: Appunti di un viaggio poetico di Pietrino Pischedda
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“IL FEDERICIANO”
Appunti di un viaggio poetico
di
Pietrino Pischedda
Rocca Imperiale
Agosto 2015
Dopo vent’anni ho rivisto il mio “vecchio” amico Giuseppe Aletti, che nel frattempo tanta strada ha fatto e a tante glorie, meritatamente, è assurto.
Era l’anno 1996, quando a Roma ebbi la fortuna di conoscere l’Aletti, giovane intelligente e promettente, che mi propose di collaborare alla nascente Rivista Orizzonti, nelle cui pagine anch’io trovai uno spazio culturale, curando, assieme a Paola Massa, la sezione poetica dal titolo “Frustule poetiche” su “Donna e Natura” nella Letteratura dal ‘200 in poi.
L’approdo a Rocca Imperiale, riconosciuto ormai “Il Paese della Poesia”, non è stato casuale ma pienamente motivato da un evento eccezionale, cioè dalla Festa della Poesia, che quest’anno si è svolta dal 22 al 30 agosto.
Questo borgo medievale, che, a vederlo dalle pendici, mi è sembrato un presepe composito di case variamente colorate, sovrastate dal Castello Svevo, ha destato subito in me un’emozione e un’impressione non comuni.
Arrivato a metà della sinuosa panoramica che porta verso l’antico Maniero, attratto dalla roccia bianco-giallastra, che, alla luce del sole, pareva sorridermi e darmi il benvenuto, mi soffermai un attimo e dalla mia autovettura immortalai il mio arrivo con alcuni scatti fotografici.
Appagato da questa prima visione, proseguii il viaggio fino all’Agriturismo “Il Vecchio Casale”, percorrendo una stradina di campagna, in parte bitumata e in parte sterrata.
In questa vecchia struttura, intelligentemente ammodernata e immersa nella natura, ebbi subito la sensazione che il mio lungo percorso dalla Capitale alla Calabria sarebbe stato ripagato dal silenzio e dalla buona cucina.
Così poi è stato.
Se il corpo, giustamente, doveva appagarsi del profumo e della bontà delle leccornie della tradizione culinaria locale, maggiore doveva risultare il soddisfacimento dello spirito a contatto con l’Arte, che qui si respira a pieni polmoni.
Quando la mattina del 29, dopo una notte di meritato riposo, mi inoltrai nei vicoli e vicoletti del paese, in un saliscendi di interminabili scale a gradoni, ebbi sussulti di gioia inenarrabili. Sentii il profumo dei limoni proveniente dall’agro rocchese ma ancor più deliziai il mio spirito alla vista delle Muse, che in ogni angolo e piazza, ostentano al passante i moti del cuore dei poeti federiciani scolpiti su stele di ceramica.
Il tutto con il placet dell’Amministrazione rocchese e con il marchio inconfondibile di Aletti Editore.
Il clou della giornata, però, mi attendeva lassù, in cima alla rocca, nel Castello incantato, le cui mura sono impregnate anch’esse di voci e profumi poetici dalle trascorse edizioni de “Il Federiciano”.
Nella terrazza del Maniero, capiente sala a cielo aperto, mi accolse un’aria di festa, un’assemblea di Poeti Federiciani, invitati là per declamare i loro versi e ricevere l’alloro poetico simboleggiato da una pergamena.
Il mio io si unì a quello dei convenuti e, dopo aver salutato l’amico ritrovato, Giuseppe Aletti, attesi il mio turno per rendere noti a tutti i miei versi e avere tra le mani l’attestato agognato.
Quando ormai le voci ispirate dei Poeti si accingevano a calare il sipario, si affacciò la splendida Luna per condividere la gioia degli astanti e condurre tutti i partecipanti lungo i vicoletti semibui del borgo fino alla stele velata che ancora teneva segreto il nome e i versi del vincitore.
La festa poi continuò fino a notte fonda dopo la degustazione della pasta maritata, in un tripudio di musiche e danze .
“Questo dì fu solenne” (Leopardi).